41 bis regime carcerario duro per boss mafiosi come funziona?

41-bis regime carcerario duro per boss mafiosi come funziona?

Ne sentiamo parlare e discutere ogni giorno del regime carcerario duro 41-bis ma non sappiamo come funziona, e quanto sia granitica la giustizia verso chi commette orrendi delitti mafiosi, non cede di un passo, nonostante la gravità di una malattia, pur nonostante dando tutte le cure mediche a chi è sottoposto a questo regime carcerario duro, la giustizia italiana non intende agevolare, come giusto sia,  chi, come i mafiosi, commette delitti di una atrocità inenarrabile; ma vediamo come funziona il 41-bis.

Il cosiddetto regime carcerario 41-bis è stato introdotto nel 1975 nelle leggi che regolano l’ordinamento penitenziario italiano e, ai tempi, riguardava le emergenze interne alle carceri, come le rivolte o altri comportamenti ritenuti particolarmente gravi. È – di fatto – un articolo di queste leggi che regola uno specifico regime carcerario.

Dal 1992 è applicato anche ai boss mafiosi. Come scrive Gregorio Romeo su Vice:

Quando il 19 luglio 1992 esplode la bomba di via D’Amelio a Palermo, uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta, il cosiddetto “carcere duro” in Italia ancora non esiste. Solo il giorno dopo la strage, l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli decide di firmare i primi provvedimenti di 41-bis.

Lo Stato vuole mostrare la sua reazione di forza alla mafia e al Paese; così, nel cuore della notte, 55 detenuti (dei 532 complessivi che saranno trasferiti al regime speciale nei giorni successivi) vengono prelevati dal penitenziario palermitano dell’Ucciardone e deportati a bordo di aerei militari verso l’isola di Pianosa.

L’obiettivo formale di questo regime è impedire il passaggio di ordini o altre comunicazioni tra i criminali in carcere e le organizzazioni d’appartenenza sul territorio. L’obiettivo più profondo era dimostrare la reazione dello Stato.



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Il regime di carcere duro era dunque nato come iniziativa temporanea, ma è stato di volta in volta prorogato fino al 2002, anno in cui è entrato di fatto nell’ordinamento penitenziario. Dal 2009 il Ministro della Giustizia può applicarlo per quattro anni e rinnovarlo ogni due.

CHE COSA PREVEDE IL REGIME SPECIALE? Un detenuto sottoposto a regime 41-bis è incarcerato in una cella singola e non ha alcun accesso agli spazi comuni del penitenziario. Nella cella può stendersi sul letto, stare in piedi o sedersi su una sedia inchiodata a terra. L’unica ora d’aria quotidiana avviene anch’essa in totale isolamento.

Il detenuto non può, di fatto, possedere alcun oggetto personale (libri, computer, etc) salvo particolari disposizioni e dopo un processo di approvazione lungo e macchinoso. È sorvegliato 24 ore su 24 da un corpo di polizia penitenziaria speciale e i contatti con le guardie carcerarie sono ridotti al minimo.

I colloqui con famigliari e avvocati sono estremamente limitati, così come le telefonate o qualsiasi altro contatto con l’esterno. Ogni forma di privacy è del tutto negata. Non sono invece negate le cure mediche in carcere o in ospedale per i casi più gravi.

Già dal 1995 il 41-bis ha interessato la Corte Europea dei Diritti Umani per le sue condizioni estreme.

QUANTE PERSONE SONO AL 41-BIS?

All’inizio del 2016 erano 729 i criminali detenuti sotto regime 41-bis. Tra essi ci sono sette donne. Il 20% di essi rientra nella categoria dei terroristi politici mentre i restanti sono persone condannate per gravi reati legati all’associazione mafiosa.

Attualmente sono 22 le carceri italiane che possono ospitare detenuti sottoposti a questo particolare regime e sono dislocate su tutto il territorio nazionale. Il totale dei detenuti in Italia ammonta a più di 55.000 unità.

Fonte: Focus