Ahi, candela racconto di Giorgio Arcari

Ahi, candela racconto di Giorgio Arcari:

“Rivestiti”. Silenzio. Rumori in bagno, vapore. Un condizionatore ronza furioso, apparentemente deciso a scardinare la finestra.

“Rivestiti e vattene, in fretta”. La puttana non era stata niente male. Bianca e morbida, ma gli occhi. Dentro quegli occhi c’era sicuramente un po’ d’Africa, sciolta nel sangue e nel tempo. E non solo negli occhi, a giudicare dai solchi delle unghie sulle spalle.

Ancora silenzio. Marino non è un uomo di grande pazienza. L’ha già pagata, che cazzo. Eccolo che si precipita, nudo e umido di doccia, attraverso il corridoio della suite. Sotto, dalle finestre dell’Habana Riviera, Cuba. Piena di luci e merda. Il rumore delle slot machines si infila da tutti gli spiragli della stanza. Sono gli ultimi suoni che Albert Marino, delle Famiglie di Boston, sente nella sua vita. La puttana dopotutto si è rivestita. Gli pianta in corpo due colpi silenziati, a bruciapelo. Marino ha il tempo di osservare la carta da parati coloniale, nuovissima, tingersi del suo rosso.

Ha il tempo di guardarla di nuovo negli occhi. Dio, che occhi da scopata. Comincia assurdamente ad eccitarsi. La puttana gli spara in faccia. Stessa notte, Sierra Maestra. Odore di terra bagnata e piantagioni. Ne è passato di tempo da quando l’avvocato, Fidel, e gli altri straccioni sopravvissuti della Granma si nascondevano da queste parti. Adesso sono a nord. Lui, il Dottore, tutti gli altri, a fare il culo a Batista. Le baracche, dozzine, cresciute come funghi maleodoranti sotto gli alberi, adesso le usano per addestrare i ribelli raccattati dalle campagne.

Balordi che non faranno in tempo nemmeno a sparare un colpo, se quel che si sente dire è vero soltanto a metà. Davanti ad una baracca, due guardie. Dure, ben armate. Disertori dell’esercito, sicuramente. Questi non fanno la balia ai ragazzini. Dentro. Pavimento di terra, pareti di lamiera. Caldo. Caldo asfissiante, insetti. Un ventilatore agonizzante. Odore di sesso.

“Non c’era bisogno di ammazzarlo”. Voce americana. Tette e faccia americane. Nome italiano. “Le Famiglie non la prenderanno bene. Marino qui è… era i loro occhi ed il loro portafogli. E tu lo sai.”

“Marino ne ha ammazzati più di quello stronzo di Batista, dei nostri.” Scuro, asciutto e muscoloso. La voce impigrita dalla scopata a marcare l’accento latino di un ottimo inglese, colto. “Doveva morire. I tuoi capi se ne faranno una ragione. E poi ormai Fidel aveva deciso.”

“Bene, così adesso tutto quello che dice il caro Lìder è legge”. La voce gelida, mentre lo accarezza sudata.

“Il capo è lui…”

“Non so se ve lo lasceremo fare. Cuba è il porcellino dei nostri soldini. Non ci piacciono tutte quelle chiacchiere comuniste che si sentono tra questi straccioni. Ci rovinate la piazza. Già duro” sorride, inizia a masturbarlo “davvero caliente, amico mio”.

“Non sono tuo amico” la mano di lui rude tra le cosce, dove è venuto pochi minuti prima. “Ci prenderemo Cuba entro l’anno e voi ve ne farete una ragione. Ormai Vegas lavora alla grande, non vi servono più i casinò qui. Potete ripulire tutto in casa e noi vi daremo una mano. Di sicuro una spina nel culo dei gringos farà comodo anche a voi. Noi li teniamo distratti e voi fate le vostre magie”

“Una spina nel culo?” Lucidissimi, tutti e due, anche se cominciano ad ansimare “Volete veramente portare qui ivan? Fare scoppiare una guerra?”

“Siamo in guerra anche adesso. I rossi non mi piacciono. E non piacciono nemmeno a Fidel. Ma gli americani sono idioti, se pensano che saremo come Batista”

“Una spina nel culo… Questa potrebbe essere una novità interessante anche per noi. Ne parlerò con le Famiglie”. Lo prende, lo guida tra le sue gambe. “Magari alla fin fine non vi faremo ammazzare tutti. Vedremo. Ora però taci e scopami, Ernesto”.

Giorgio Arcari

Fonte: leggereacolori

Foto di Gerd Altmann da Pixabay