Aiutatemi, ho paura di Ariella G. Ho riempito lo zaino per le lezioni che ho alla scuola oggi., Mi siedo sul letto. Penso, Scuola? No luogo di tortura per me. Ho 14 anni e sono una ragazza normale. Con un carattere debole. Lo so e mi odio per questo., Non so reagire alle malversazioni che devo subire. Mi manca il coraggio anche di parlarne in famiglia. Vedo le quattro ragazze nella mia mente che mi fronteggiano per spillarmi denaro, colazione e dirmi delle parolacce. Lo stomaco si ritrae e ho voglia di vomitare, Sento la mamma gridare che è ora di andare, di non poltrire, di fare in fretta. Vorrei urlare che non voglio andare, voglio stare a casa e parlarti mamma. Però mi alzo, prendo lo zaino e vado.
La scuola è un grande edificio costruito a ventaglio, la facciata centrale sembra un faccione sorridente, dovrebbe essere un luogo dove imparare, socializzare, ridere e scherzare a anche piangere a volte. Lo vedo invece come una prigione dalla quale non riesco fuggire. Mi viene incontro la mia compagna di classe, Clara, mi sorride chiedendomi: ”Tutto bene? Da un po di giorni ti vedo seria e molto triste, vuoi parlarne?” No, Clara, non voglio parlartene, mi vergogno, grazie lo stesso mi dico nella mia mente, nemmeno lei deve sapere che razza di smidollata sono! Rispondo: ”No, è un periodo così, passerà Clara, grazie”.
L’ora di ricreazione è un incubo, non voglio uscire dalla classe, ho paura d’incontrare quelle quattro, vedo uscire le mie compagne festose per lo stacco dalle lezioni, le invidio, però me ne sto al mio banco e prendo la colazione che mi sono portata da casa, la professoressa mi guarda stupita e chiede: ”Come mai restii n aula? Esci, vai prendere un poco d’aria, che stai a fare qui?” Scuoto la testa e non rispondo nemmeno, abbasso gli occhi e mi metto a leggere, sento lo sguardo della prof sulla mia testa, non importa, manco a lei voglio dirlo, poi le conseguenze le pago io!
All’uscita delle lezioni il gran vociare degli alunni, il frastuono delle grida, l’espandersi della felicità di essere all’aperto, liberi dall’impegno scolastico riempono l’aria e vedo con terrore l’avvicinarsi del gruppetto delle mie stalker, comincio tremare violentemente, la più grande e robusta mi prende per un braccio e con voce bassa mi sussurra all’orecchio: ”Dammi i soldi, muoviti!” Dandomi un pugno sul fianco, le altre tre le fanno scudo affinché nessuno veda la scena, rispondo con un filo di voce: ”Non ne ho di soldi”, lei mi mette una mano in tasca per capire se dico la verità, poi non contenta, rovista nel mio zaino, infine mi sibila: ”Domani cerca di averli altrimenti ti faccio nera!”.
Mi metto a correre verso casa, arrivo trafelata e salgo in camera mia mentre la mamma mi strilla: ”Vieni a mangiare, dove vai?” No, non mangio, non ho fame, ho solo tanta paura per domani, la mamma mi dà una paghetta settimanale per le piccole spese, e me l’hanno già presa, come faccio dire alla mamma che non ho più un euro in tasca, lei vuole sapere dove spendo i soldi che ricevo e io non posso dirle la verità, urlo: ”Mangio più tardi, non ho fame…” Il volto della mamma s’incornicia sullo stipite e mi guarda sospettosa, poi ”Qualcosa non va? Un brutto voto? Una nota?”, le lacrime mi scendono e non riesco fermarle e si trasformano in singhiozzi disperati.
Corre da me e mi abbraccia ”Cosa succede bimba?”, mi stringo a lei e scuoto il capo, non te lo posso dire mamma, non te lo posso dire, mi asciugo con il dorso della mano le lacrime e sorrido ”Niente, è un momento così, tranquilla nessun brutto voto, nessuna nota”, lei non mi sembra convinta e mi guarda intensamente ”Se c’è qualcosa non va io sono qui e devi parlarmene ok?” Rispondo ”Sì mamma, ora vengo giù a mangiare”.
Giro la forchetta nel piatto e non riesco mandar giù niente, papà mi scruta e mi chiede: ”Stai giocando con quella forchetta? Finisci di cenare o no?”, poso la forchetta e mi alzo: ”No papà non ho fame per niente, scusatemi vado in camera mia.”, la mamma mi guarda preoccupata però sta zitta e fa cenno di sì col capo.
Mentre salgo le scale li sento parlottare a bassa voce, stanno parlando di me lo so, e del mio comportamento strano di questo periodo, chiudo la porta alle mie spalle e mi sbatto sul letto con la testa in subbuglio, domani devo bigiare la scuola in un modo o nell’altro, non posso incontrare quelle quattro, non ho un euro in tasca e non voglio chiedere nulla in casa, chiudo gli occhi e sto cercando di capire cosa dovrò fare in quelle ore dove non sarò a scuola. Sento aprirsi la porta e papà entra richiudendola alle sue spalle.
Si siede sul letto e mi guarda intensamente: ”Ora parla, dimmi cosa ti sta passando per il cervello! Voglio saperlo, hai preso una cotta? Cosa non va?” Papà sei l mio eroe quotidiano ma ti prego non posso dirtelo come non posso dirlo a nessuno altrimenti quelle quattro mi pesteranno a sangue, di nuovo le lacrime, contro la mia volontà scendono copiose, papà mi prende per le spalle: ”Giulia, santo cielo, stai male? Dimmi per favore cosa sta succedendo…” Lo abbraccio forte forte senza una parola e lui mi stringe, carezzandomi i capelli.
Aiutatemi, ho paura. L’indomani percorro una strada diversa da quella per recarmi a scuola, di buona lena m’incammino verso il centro commerciale dove passerò la mattinata in attesa di tornare a casa. La paura se ne sta andando, mi sento lontana dal pericolo, guardo affascinata le luci, i colori delle vetrine, la gente che va avanti e indietro, le loro facce, chi sorrideva, chi era corrucciato, chi con un’espressione che non capiva. Mi sento toccare una spalla, mi giro e la mamma mi guarda con severità: ”Che cosa stai facendo qui? Perché non sei a scuola?”, sono gelata, cosa le rispondo? Cosa le dico? Comincio tremare violentemente, la mamma mi accompagna in un dehor, mi fa sedere davanti a un tavolino appartato e mi dice bruscamente: ”Ora voglio sapere la verità! Parla!”
A testa bassa trovo il coraggio di parlare, piano, racconto tutto nei minimi particolari, non posso più mentire e tacere a lei, devo dirle tutto, devo liberarmi di questo peso che mi grava sulle spalle da tanto tempo, dopo che ho finito alzo la testa e vedo gli occhi della mamma colmi di lacrime: ”Perché non parlarne prima? Perché tenerti tutto dentro? Perché? Ti avremo aiutata io e papà!” Il mio grido soffocato: ”Aiutatemi! Ho paura!” Lei si alza, mi prende per mano dicendomi: ” Ora andiamo a scuola dalla preside!”
Ora torno a scuola felice, non ho più paura, papà e mamma hanno fatto in modo che le quattro ragazze vengano messe sotto sorveglianza, sono tornata l’adolescente serena di un tempo, ho imparato una lezione di vita che mi servirà anche nel futuro, mai tacere quando una cosa seria turba la tua esistenza, parlarne con le persone giuste è la cosa più sensata, mi sarei risparmiata tanta sofferenza se lo avessi fatto prima, ora so come devo comportarmi se qualcosa di brutto mi capita, i miei genitori sono il punto di riferimento più importante al quale rivolgermi in caso di difficoltà!
Foto di Cispef