Come eravamo C’era una volta…

Come eravamo c'era una volta...

Come eravamo C’era una volta… La nostalgia del passato a volte ci prende e ci chiediamo se questa nostra società odierna e tecnologica non sia solo un frutto della nostra fantasia invece che una realtà basata sul quotidiano di ognuno di noi, c’è chi rammenta il tempo passato con dei racconti di vita vissuta come nel caso di Enzo Driussi che racconta ciò che la sua mente gli fa ricordare con c’era una volta.

C’ERA UNA VOLTA di Enzo Driussi:

E’ così, mi par di ricordare, che iniziavano e forse iniziano ancora le fiabe.
“C’era una volta …. un’osteria”. Nata, mi pare, verso i primi del ‘900. Chissà quante ne sono nate, a quel tempo? E quante già c’erano! In ogni paese del nostro Friuli. E nelle città.
A Udine non c’erano ancora gli autobus, le tante automobili, le troppe pizzerie. Non c’era l’asfalto, ma la polvere non era un problema, perché non c’era, a parte le carrozze, chi poteva sollevarla. Che bello …! C’era ancora nell’aria e nella memoria di molti, il ricordo delle osterie zoruttiane (là di Plèt, per esempio) e le fantasie popolari nate ai “Piombi”. Fette di tempi andati, stupende pagine di storia.


Ma ogni cosa ha il suo tempo. Anche l’osteria della quale voglio rinvangare il ricordo. Devo premettere che il mio primo ingresso nelle osterie (quelle vere) risale ai miei primissimi anni di vita, quando solitamente ai ragazzini non era permesso varcarne la soglia se non accompagnati. Ma il fatto di essere stato, sin dalla tenera età, un suonatore di fisarmonica, mi ha anzitempo aperto le soglie dei “templi sacri” dell’enologia friulana. Pertanto, a differenza di tutti i miei coetanei che, al massimo, potevano entrarci la domenica dopo Messa a comprare “bagigi”, “caucciu” e “straccaganasse” (molte osterie quella volta erano anche rivendite di giornali), io avevo sempre ingresso libero, in virtù delle mie doti musicali, di volta in volta al servizio dei coscritti, dei combattenti, dei donatori di sangue, dei soci del Cral, di Battesimi, di Cresime, di …. tutto quello che faceva occasione di sosta in una delle tante osterie del paese.

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Ma non è nel mio paese che ha inizio la fiaba. Il mio primo amore, il colpo di fulmine fra me e l’osteria, nacque negli anni ’60 a Nogaredo di Prato. Avevo da poco iniziato a radermi quei quattro peli sul mento e a conquistare, grazie alla bicicletta, qualche spazio sino ai paesi più vicini. Così approdai, fisarmonica in spalla, alla vecchia osteria di Poldo. Per la verità Poldo era il figlio, appartenendo l’osteria al padre Gjgi, che però non amava molto la vita di retrobanco.

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Poldo e Clara, sua sorella, formavano invece una coppia ideale, nata per l’osteria; per quell’osteria! Due piccole sale: nella prima un banco a “elle” per la mescita di vino, vendita di sali e tabacchi, coloniali, frutta e verdura, nella seconda quattro tavoli e, in mezzo, una stufa a legna. Cesso nel cortile! All’interno, a ogni ora del giorno, un variopinto campionario di gente, che solo i piccoli paesi del nostro Friuli sapevano partorire. Mille nomi, mille volti, molti dei quali, ormai, purtroppo sbiaditi anche nel ricordo: Renso di Bello, Celso fornar, Tilo, Secondo, Bepo, Frèdo, Valdi, Dismà … Eterne suonate di fisarmonica accompagnate da dieci, venti, cento voci. Tutte distinte con giudizio: Alveno e Gino Calor di primo, Nevio Pigan e Mimi di secondo, Gjro Gregoris di basso, Talufo e Ciroi … come capitava. “Bella tu dormi sul letto di fior / risvegliati e poi ricevi un bacio d’amor./ Un bacio d’amore ti voglio donar / e un anellino d’oro ti voglio regalar …”

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“Poldo, di bevi ai sunadors!” E avanti con fiumi di Merlot che andava gioioso per ogni vena, Cabernet che profumava soavemente di prati erbosi, Tocai “ch’al sà di mandule”, Refosco da resuscitare i morti. Ed era magari domenica, la stufa fumava da matti ma nessuno ci faceva caso, fuori (quella volta capitava spesso) nevicava a larghi fiocchi. Dentro, nell’osteria di Poldo, solo allegria, buon umore; qualcuno che giocava a carte, un tavolo per la morra, due sensali in attesa del cliente. Subito dopo Messa l’invasione. Sembrava impossibile, ma ci stavano tutti. Tutti in meno di cinquanta metri quadrati! Magari in Chiesa si sentivano stretti, ma lì ognuno trovava un posto per appoggiare il bicchiere, per scambiare quattro chiacchiere fino, e oltre, l’ora di pranzo. Se poi c’era aria di sagra, non mancavano i suonatori della banda che, senza farsi pregare, attaccavano l’inno paesano, il “Valzer Linda”. Sembra un sogno, oggi, tutto questo.

Ricordo ancora la mestizia dell’abbandono, vent’anni fa, di quelle due vecchie stanze. In molti, prima della loro chiusura definitiva, abbiamo affrescato le pareti con scritte, pensieri di rimpianto, poesie. Con l’illusione che restino almeno quelle. Illusione vana. L’osteria si trasferì di fronte; locali nuovi, eleganti, più belli e meno romantici. Nuova veste, un’abitazione e un negozio, per la nostra vecchia osteria. Un’impietosa mano di calce sulle nostre poetiche frasi, una crudele serie di colpi di piccone sui nostri ricordi, sulle nostre canzoni, sulle nostre storiche bevute.

L’osteria c’è ancora. Si chiama ancora “da Poldo”. Ma Poldo non c’è più… Ad appena cinquant’anni se l’è portato via un ictus. Non è l’unico che se n’è andato. Assieme a tanti altri amici sono scomparsi anche i canti, le villotte, le serate con la fisarmonica.
C’era una volta ….. Porca miseria, ma le fiabe non avevano sempre un lieto fine?
(Enzo Driussi)

Fonte: Portale delle osterie

Foto del Messaggero Veneto