Come una fenice racconto breve di M. Chiara Ucciardi

Come una fenice racconto breve di M. Chiara Ucciardi, No, non è facile riprendere n mano la propria vita dopo le difficoltà che la vita ci pone davanti ma bisogna prima o poi farlo, e rinascere come la fenice risorge dalle ceneri, questo è il nocciolo di questo racconto di M. Chiara Ucciardi.

Come una fenice

«Ora è il momento di risvegliarsi».

Così diceva Marie, guardandosi allo specchio, sicura di sé.

E pensava, una volta in più, a quell’episodio che aveva percosso la sua giovane vita … che l’aveva stravolta, frantumata, ribaltata, svuotata.

«Sì, questo è il momento giusto per risvegliarsi!».

E dire che in verità, si era già risvegliata da tempo …

La sua immagine in quello specchio ora le appariva nitida, chiara. Forse ancora un po’ smarrita e intimorita, ma c’era, era lì, davanti ai suoi occhi. In essa, poteva riconoscersi. Qualche mese prima, non era così, non lo era affatto. Il suo riflesso in quello specchio era deforme, sfocato, si scioglieva, svaniva, e lasciava spazio a quelle scene, che forti si imponevano alla sua mente. Era il riflesso del passato. Un passato che Marie continuava a vivere nel presente e che probabilmente avrebbe continuato a monitorarla anche nel futuro, o meglio, questa era la sua più grande paura. Ecco, quasi come in uno schermo: la strada, la notte, le luci, le risate tra amici e ad un tratto lo schianto! Quella del 9 dicembre 2007 era stata solo una normale serata tra amici, un ritorno da una festa, e un destino sbagliato. Il 7 gennaio 2008, circa un mese dopo l’incidente, Marie si svegliò dal coma.

Non era stato un risveglio reale, e riprendere a vivere non le servì a nulla. Poco dopo, infatti, morì nell’animo, psicologicamente, morì anche il suo cuore. Charles Dubois, dapprima amico, fratello, poi fidanzato innamorato, il suo fidanzato innamorato, passeggero di quell’auto come lei nella notte del 9 dicembre 2007, non aveva retto al violento impatto tra le due vetture che si scontrarono frontalmente. Charles andò via dal mondo, per sempre.  In quel triste evento, c’era una cosa in particolare di cui non riusciva a perdonarsi Marie: lei si era addormentata! Mentre il vero e unico amore della sua vita andava via per sempre, lei era stata così maleducata da non salutarlo, da non augurargli buon viaggio per l’ultima volta. Si era addormentata Marie, così, d’improvviso, per un lungo sonno durato circa un mese.

Charles e Marie erano stati compagni al liceo, avevano scoperto di essere innamorati l’un l’altro per caso. Da allora si erano sempre tenuti per mano, si erano lasciati l’adolescenza alle spalle insieme, si preparavano ad affrontare la vita da adulti insieme, stavano cercando la giusta strada insieme. Insomma, poche certezze e molti dubbi, come in tutti i giovani alla loro età.

Tuttavia almeno una sicurezza l’avevano … Sì l’avevano, e potrebbe essere sintetizzata in una sola parola: insieme. Riprendere coscienza di sé dopo una lunga assenza dalla vita non fu semplice. Fortunatamente Marie quando ne sentiva bisogno, durante qualsiasi momento della giornata, poteva sempre contare sull’intervento di Madame Célin.

Dopo il coma, Madame Célin le aveva fatto ricordare chi era, le aveva ricondotto alla mente tutti quei sogni che avrebbe voluto realizzare e che doveva realizzare per riguadagnare stima in se stessa, soprattutto da quel momento che Charles non c’era più. Ah, Madame Célin! Era forse un angelo che Charles le aveva mandato dal cielo per tenerla in custodia?!? Beh, no … Ecco, in realtà solo una strizzacervelli ben retribuita, ma a lei piaceva pensarla in quel modo!

Giorno dopo giorno, passo per passo, analisi dopo analisi, l’irrefrenabile paura di affrontare la vita si attenuava e la voglia di vivere le sfilava il posto. «Sì, sì, il momento giusto», continuava ad annuire, con un’aria trasognata, davanti la sua immagine riflessa. Stava per andare a letto, Marie. Doveva riposare per bene. Il giorno successivo sarebbe stato importante, determinante, avrebbe potuto segnare quella svolta che da tanto tempo, quasi due anni ormai, aspettava. Un colloquio presso le Bureau de la Revue de Béziers l’attendeva.

Era sempre stata una delle sue massime aspirazioni diventare giornalista e sperava tanto che quel grande sogno nel cassetto potesse realizzarsi, partendo da piccoli traguardi come quello di lavorare per una rivista regionale.

Se avesse superato quella selezione, Marie non avrebbe dovuto tutto solo a se stessa, e alle sue capacità. Avrebbe dovuto ringraziare Madame Célin per l’autostima e la forza che le aveva ridonato, ma … Avrebbe dovuto chiedere grazie anche ad un’altra persona. Jean Moureau era un giovane ventiquattrenne, suo coetaneo. Si erano incontrati per tanto tempo ogni martedì in ospedale, entrambi per la fisioterapia. Lui dopo un banale gesso al braccio, lei per il recupero delle complete capacità motorie dopo l’incidente. Jean conobbe Marie durante quegli attimi trascorsi seduti in attesa del proprio turno. Al di là del tragico episodio che la segnò, a Jean piaceva molto Marie. Lui non stava lì ad ascoltarla per compassione. La ascoltava perché gli piaceva. Era attratto dai suoi modi di fare e di dire.

Fu proprio Jean Moureau che venne a conoscenza dell’opportunità al Bureau de la Revue de Béziers e  propose alla cara fanciulla di presentarsi. Non contento, gliene fece un’altra di proposta: la invitò per pranzo subito dopo il colloquio, cosicché potesse avere subito la lieta notizia che tutto era andato per il meglio.

«Sì, la lieta notizia!». Marie aveva capito perfettamente che c’era qualcosa sotto. Marie aveva capito che Jean si era innamorato di lei. Evidente! Da come la scrutava, da come le parlava, tutti quei gesti, tutte quelle attenzioni. Insomma,da Jean nella sua totalità, da tutto!

E lei? Lei provava qualcosa?

Lei, non lo sapeva, o almeno, così rispondeva a Madame Célin ogni qual volta glielo chiedeva. No, non lo sapeva. Eppure l’attenta psicoterapeuta era convinta del contrario. Pensava che Marie fingesse di non saperlo, per celare quelli che erano i suoi veri sentimenti. Il «non lo so» era soltanto una meschina e vecchia giustificazione che dava a se stessa, perché aveva paura di ritornare ad amare, e soprattutto aveva il timore di lasciarsi alle spalle il passato che la vedeva tenersi ancora per mano con Charles.

Ore 7.46. Il suono ridondante della sveglia, il cuore che palpita. Due occasioni, una sola speranza: riassaporare il dono della vita.

«E’ già ora di andare», costatò Marie.

Il mondo si apriva di fronte a lei.

 Era una tiepida giornata primaverile. Il sole pallido le riscaldava gli zigomi, donandole un po’ di buon sano rossore alle guance.

Giunta alla sede del Bureau de la Revue de Béziers, Marie nutriva un crescendo di tensione ed emozioni. Le mani gelide, la sudorazione aumentava.

«E’ meglio che mi calmi, prima che dia una cattiva impressione», ripeteva tra sé.

Entrò, fece un lungo respiro, espirò tutte le negatività. Salì al primo piano come le era stato indicato e si rivolse a una signorina seduta di là di una scrivania, la segretaria presumibilmente.

«Buongiorno. Mi chiamo Marie Bertetti. Sono qui per un colloquio»

«Ah, la signorina Bertetti? Sì, la direttrice la attende. La trova in quella stanza, in fondo al corridoio».

 Non le sembrava vero. Mentre percorreva quel corridoio, sentiva già di aver fatto una grande conquista. Era uscita dal suo guscio, stava provando a percorrere la sua strada, da sola. Chissà cosa avrebbe pensato Charles se in quel momento l’avesse vista lì.

«Salve! Entri pure. La signorina Bertetti, immagino?!  Prego si accomodi. Stavo giusto visionando alcune delle cartelle che mi ha inviato».

Marie si trovava lì seduta, al cospetto di una tipica imponente sagoma da direttrice. Non sapeva cosa le avrebbe riserbato il destino in quell’occasione. Non pensava. Si limitava ad osservare lo spazio attorno a sé. Fin quando l’imponente sagoma si pronunciò: «Beh, signorina Bertetti, i suoi lavori sono ottimi, la sua preparazione buona, il suo curriculum mostra anche delle altre piccole esperienze, nonostante lei sia così giovane. Però vede, riguardo alla sua vita personale, ho saputo che qualche tempo fa lei è stata vittima di un brutto incidente, che l’ha anche colpita cerebralmente … Sa, preferisco assumere gente integra, ecco. Dopotutto ho valutato dei lavori passati. Potrebbe non essere più in grado di compierne altri così perfetti, ci ha pensato ?».

Risuonavano come eco le parole di quella donna nella mente di Marie. Sentiva un nodo gonfio alla gola che non le permetteva di respirare. Provava rabbia, e non nei confronti di quella direttrice del bureau vattelappesca, non perché un’importante occasione si era appena frantumata in mille pezzi. Tutta quella rabbia che le proveniva da dentro era causa di un passato che continuava ad ossessionarla, che nonostante fosse ormai marcio, non voleva essiccare completamente le sue radici.

Marie aveva bisogno di respirare. Senza sapere come né perché, si ritrovò fuori da quell’edificio. Il sole, che qualche ora prima le illuminava il viso, era sparito. Pioveva, e la giovane camminava, vagava per la città senza una meta, senza un riparo. Correva, piangeva mascherata dalle gocce d’acqua, le urlava il cuore. Sin quando sedette al centro di una panchina, col capo chino, in perfetta stasi, aspettando che la pioggia cessasse.

Quando finì, era ormai troppo tardi. L’ora di pranzo era già passata. Jean l’aveva attesa a lungo, e invano.

 Fu così che il giorno che avrebbe dovuto dare una svolta decisiva alla rinascita di quella giovane donna, si trasformò in una sorta d’incubo.

A sera, Marie aprì la finestra della sua camera e vi guardò fuori, come per prendere una boccata d’aria.

Una leggera brezza le accarezzò il viso, la spinse ad alzare lo sguardo verso il cielo. D’improvviso una voce in lontananza reclamava la sua attenzione.

«Vedi Marie, da lassù le stelle ti guardano. Sono stato io ad ordinarglielo, affinché potessero sconfiggere il buio che regna nel tuo cuore e illuminare il tuo cammino. Adesso su, vai, sali, raggiungile anche tu, così sarà più semplice indicarti la strada per la felicità. Quella felicità che entrambi ci siamo promessi, ricordi? ».

Trasportata dal vento, Marie si sollevò, si smaterializzò in polvere di stelle e sparì nel cielo.

Ore 7.46. Il suono ridondante della sveglia, il cuore che palpita. Due occasioni, una sola speranza: riassaporare il dono della vita.

«E’ stato solo un brutto sogno! Adesso potrò riscattarmene. Come una fenice che, dopo essere stata divorata dalle fiamme, diventa cenere, ma rinasce a nuova vita», pensava.

E il mondo si apriva di fronte a lei.

M. Chiara Ucciardi

Fonte: leggereacolori

Foto di Manolo Franco da Pixabay