Il coraggio di essere se stessa di Ariella G.

Il coraggio di essere se stessa di Ariella G. Aveva 25 anni ed era una giornalista che stava avendo successo per gli argomenti trattati e per i vari reportage importanti fatti, una gavetta dura che la stava portando ogni giorno di più verso quel riconoscimento per il quale aveva lavorato così duramente, così quando il direttore l’aveva chiamata aveva una aspettazione febbrile, cosa le avrebbe detto?


Aveva tenuto celato e aveva celato ancora il suo orientamento sessuale, anche alla sua famiglia, si accompagnava con qualche uomo per avere un’apparenza di ”normalità” mentre dentro se stessa sapeva perfettamente che il genere maschile non l’attraeva proprio, era indirizzata verso il genere femminile, ma doveva non parlarne e non avere nessuna compagna per paura di ricatti, essendo nota al pubblico, o di avere discriminazioni nel posto di lavoro.


Questo segreto le lacerava l’anima, era un tormento quotidiano non poter dire al mondo che le piacevano le donne, che avrebbe voluto una compagna leale e sincera al suo fianco, doveva impersonare la donna che stava facendo strada nel giornalismo e nonostante il gran clamore che facevano i media che l’omosessualità non era una malattia contagiosa lei doveva nasconderlo, sapeva bene come la pensassero i suoi colleghi.


Il direttore le disse di accomodarsi, sorrise dicendo: ” Sono contento del suo lavoro, è una brava professionista e apprezzo moltissimo come lo svolge, vorrei parlarne più approfonditamente questa sera a cena, ha qualche impegno?”, rimasi sorpresa, lui era sposato e questa proposta mi trova impreparata, rispondo: ”No, nessun impegno, perché non parlarne ora?”, lui china il capo e sussurra: ”Meglio questa sera, dopo una buona cena e un dopocena ancor migliore le cose si metteranno al meglio per lei…” facendomi intuire con lo sguardo malizioso cosa intendeva per il ”dopocena”.


Mi alzo e dura rispondo: ”Voglio essere apprezzata per la mia professione e non perché vengo a letto con lei egregio direttore, sia ben chiaro! Questa proposta non gli fa certo onore mi creda!”, lui si alza in piedi, rosso in volto e come una furia si avvicina e mi apostrofa: ”Allora è vero quel che si dice…” mi giro e chiedo: ”E cosa si dice se è lecito sapere”, lui sorride beffardo: ”Che lei sia una lesbica!”

Stringo i denti mentre rispondo: ”Fosse vero a lei cosa importa? Fosse vero a chi sparla che importa? È una mia questione personale che non deve riguardare la sfera professionale, che non va a inficiare quello che è il mio lavoro di giornalista, quindi?” la voce di lui è fredda e determinata: ”In questo ambito l’omosessualità non è ben vista, sia chiaro che la precluderebbe dal successo che lei tanto aspira…” lo interrompo: ”….mentre le sporcacciate che voi uomini fate per arrivare ai vostri nefandi scopi sono permessi?”


”Non sia volgare e non si permetta…”, invesco: ”…io mi permetto perché lei stesso mi ha ricattata per avere un avanzamento di carriera, o vieni a letto con me oppure stai come sei senza lamentarti!”, la rabbia mi sale violenta alla gola, vorrei urlare tutto il mio disprezzo e la voglia di schiaffeggiarlo su quella faccia che mi guarda con commiserazione, come se fossi una appestata, tutto questo lo interiorizzo mentre gelida dico: ”Ha altro da dirmi?” lui fa cenno di no col capo.

Esco dal suo ufficio e vedo facce rivolte verso di me, i miei colleghi si stanno chiedendo cosa sia successo, il salone è grande e parecchi sono gli uomini, poche le donne che ci lavorano, vado alla mia scrivania e comincio a raccogliere le mie cose in una scatola, con calma, precisione e determinazione, finito darò le dimissioni il giorno stesso, mi rivolgo a quella platea che mi sta osservando.


”Sì, sono una lesbica e non me ne vergogno, sì sono una lesbica ma non per questo non faccio il mio lavoro meglio di chiunque qua dentro, siete dei miserabili che mentre oggettivate le vostre donne siete ancora in grado di giudicare e condannare chi non è eterosessuale, come se essere omosessuali fosse una disgrazia o una malattia che potrebbe contagiarvi, poi nell’ombra voi, e parlo in generale, siete magari dei pervertiti e ne fate peggio che Bertoldo, mi fate pena mentre io ora mi sento libera finalmente di essere me stessa, di aver avuto il coraggio di essere me stessa senza più fingimento e paure!”

Esco da quell’ufficio più leggera, meno tormentata, è stato il primo passo verso la caduta di quelle catene che mi imprigionavano a una falsità che continuava da anni, ero la prima io a sentirmi ”diversa” mentre non ero diversa, ero stata imprigionata dai pregiudizi, dal bigottismo fin dall’infanzia quando giocavo con le automobiline anziché con le bambole o bambolotti, cresciuta con una mentalità chiusa e non aperta verso orizzonti che escludevano dalla società i ”diversi”, ora quelle catene sono cadute e quella mentalità chiusa si è aperta e vedo il mondo attraverso la libertà di essere come siamo e non più prigionieri da stereotipi, liberi soprattutto di essere noi stessi nel bene e nel male.


Ora quel coraggio devo averlo per confessare questa ”colpa” alla mia famiglia che da parecchio tempo si chiede come mai non ho ancora avuto un fidanzato che mi accompagna, so che dovrò lottare anche con loro ma alla fine il loro amore di genitori farà in modo di accettarmi per quella che sono, senza più falsità e senza più nascondermi dietro questa maschera che mi porto addosso da troppo tempo!


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