Io voglio morire di Ariella Gibellato

Io voglio morire di Ariella Gibellato. Guardavo dal mio letto, il cielo che da azzurro via via si faceva grigi, foriero di pioggia, i rami degli alberi oscillavano al vento, quel vento che io amavo sentire fra i miei capelli quando correvo felice nel prato davanti a casa mia, ora non corro più, sono immobilizzata nel mio letto da una malattia rara e inguaribile.


La porta si apre e non riesco girare la testa per vedere chi è entrato, sento il profumo leggero di mia madra che si avvicina al letto, la sua mano che mi accarezza la fronte: ‘Ciao tesoro mio, sono qui per leggerti qualcosa, ti va?’, con gli occhi rispondo di sì, mi è persino inibita la parola, mi si siede accanto e comincia leggere di un documentario sugli animali, sa che io gli adoravo e gli adoro ancora adesso anche se non posso più accarezzare Sultan, il mio gatto oppure Seth, il mio cane che sosta sempre ai piedi del mio letto.

So che Seth è vicino al mio letto, ogni tanto si alza, appoggia le zampe sul bordo e mi guarda. muovendo la cosa frangiata dal lungo pelo, è un setter irlandese intelligente, molto dolce, e non si stacca quasi mai da me, sembra sappia della mia tragica immobilità e voglia farmi sentire la sua vicinanza, mentre Sultan, il gatto si adagia al fondo del letto e mi guarda fisso senza emettere suoni, fermo e immobile.


Kunghe lacrime scendono sulle mie guance e la mamma le asciuga piano con le dita dicendomi: ”Tranquilla cara, non piangere, siamo vicini a te, sempre lo sai..” No mamma io non voglio, non dovete, avete la vostra vita da vivere, avete altri due figli da allevare e condurre verso la strada che sceglieranno, io sono un doloroso ostacolo per voi, voglio andarmene da questa vita che non è una non vita.

L’idea della dolce morte si è maturata piano piano attraverso la mia mente e ogni giorni la mia convinzione si fa più forte, voglio andarmene con dignità, voglio togliere questo mio peso oneroso alla mia famiglia anche se so perfettamente che per loro non lo sono, dal momento che mi hanno diagnosticato questo male che mi sta torturando, dopo le innumerevoli visite, analisi e contro analisi la diagnosi sempre la stessa: potrà andare avanti per anni ma sarà immobile e senza poter comunicare se non attraverso lo sguardo.


Sì, sono giovane avrei ancora tante cose da vivere, tanti sogni d realizzare, l’università, un impiego magari un marito, dei figli, perè la vita mi ha precluso ogni cosa, se non di essere immobile in questo mio letto di dolore, quindi che resto fare qui, in questo mondo che io ritengo meraviglioso, caricando la mia famiglia di obblighi morali e materiali per farmi continuare a vivere?

Lasciatemi andare cari genitori, cari fratelli, lasciatemi andare in serenità e pace, non obbligatemi a una non vita, non toglietemi quella dignità che deve essere insita in ogni essere umano, voglio che mi ricordiate com’ero, non come sono oggi, un povero corpo vegetale con una mente sveglia per questo più straziante, voglio morire e sperare che quando sarò nell’al di là, se c’è, potrò essere di nuovo libera.

Ora non sono libera, sono imprigionata in una gabbia in un corpo che non muove un solo muscolo, sono ingabbiata in una situazione che mi rendono prigioniera, lasciatemi riprendere la mia libertà anche se non in questo mondo, lasciatemi andare vi supplico.


La mamma mi guarda, mi scruta attentamente e poi mi chiede: ”A cosa pensi piccola?”, attraverso il movimento delle palpebre le chiedo di lasciarmi andare, di farmi avere la dolce morte, lei china il capo e lunghe lacrime le rigano il viso, scuote il capo: ”No, no, no, no…”, si apre la porta, sento la voce di papà che chiede: ”Perché piangi?”, Lei lo abbraccia e con parole soffocate racconta il mio desiderio.

Papà si avvicina al letto e mi accarezza i capelli, poi si china e mi bacia sulla fronte, sussurra piano: ”Come puoi chiedere ai tuoi genitori una cosa del genere?”, io continuo parlare con gli occhi implorandolo di liberarmi da questa ingiustizia che la vita mi ha fatto, implorandolo di ridarmi la mia libertà, la mia dignità.

Passano i giorni e sono sempre più decisa a voler morire e ogni giorno lo chiedo implorando i miei genitori di lasciarmi andare, vi prego, vi prego, vi prego…


Aleggio come puro spirito nella mia stanza che mi ha vista condannata a un supplizio terribile e tragico, vedo il mio corpo vegetale steso sul letto, gli occhi chiusi, il volto pallido della morte, un lieve sorriso sulle labbra quasi a ringraziare chi mi ha permesso di recuperare la mia libertà, i miei genitori piangono, i miei fratelli piangono, Seth ulula accanto al letto, Sultan ha poggiato il suo capo sul mio braccio, mi dispiaccio per tutti loro ma hanno capito che non potevo più vivere in quello stato.

ARIELLA GIBELLATO

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