L’ultimo autunno di Ariella G.

L’ultimo autunno di Ariella G. Guardo attraverso i vetri la neve che lentamente, volteggiando scende ricoprendo le strade, i lampioni, i tetti delle case. Seguo la sua danza leggiadra. Scivolo giù dal letto e mi affaccio alla finestra. La notte è quasi chiara, lucente. Un gatto miagola disperato, lontano.

Nel silenzio ovattato l’urlo azzurro di un’ambulanza. Luci abbaglianti si infrangono sulla strada bianca, silente, addormentata. Un movimento mi fa voltare.

Il suo corpo nudo. Bronzeo. Giovane. Dorme, abbandonato e tenero. Mi avvicino lentamente e lo osservo, lo voglio vedere tutto e tiro via le lenzuola. Perfetto e irresistibile. I capelli scomposti e ribelli. La bocca socchiusa sul balenio dei denti bianchi, Sento urti nel petto, dolorosi e soffocanti. Il desiderio mi assale con tutta la sua feroce violenza.


Mi costringo voltarmi, guardarmi allo specchio e vedo i miei quarant’anni, pieni e voluttuosi come frutti maturi, impossibili alla mia mente ma reali. Accarezzo il mio seno colmo, la mia pelle. E sento la sericità della sua compattezza. Spio il mio viso cercando i segni del tempo, pieghe di esperienze vissute e inflitte dalla realtà. E trovo l’autunno dorato, con le sue calme melanconie e i suoi tiepidi sorrisi. Cerco di padroneggiare la disperazione che sale verso la gola in un nodo.

Guardo ancora quei vent’anni nudi, terribilmente splendidi, distesi nel sonno. E mi chiedo cosa faccio in questa stanza, ripensando al nostro incontro: uno sguardo, mille no e la sua dolce insistenza.

La sua accorata insistenza alla mia lucida follia. Mi accendo una sigaretta, osservo il fumo che sale lentamente e il suo sonno. Le lunghe ciglia ricurve formano una mezza luna e l’incanto del suo sguardo è celato, chiuso.


Penso ai suoi sguardi così arditi, così neri, così tempestosi e così teneri. Alla loro luce scura e ai suoi bagliori lucenti. Sguardi gelosi e appassionati. Delicati e brucianti. Riflessi e curvi su di me in una muta preghiera. Potrò dimenticare tutto di lui. Potrò dimenticare di essere stata qui, di averlo amato. Non potrò mai dimenticare il suo sguardo e le sue mani, le sue mani. Così forti e delicate. Smaniose e violente. Incapaci di durezze, facili da amare. Che prendevano le mie e risalivano ai polsi, stringendoli, incatenandomi alla loro passione. Che offrivano e chiedevano, laceravano e lenivano.

E le sento ora le sue mani serrare le mie spalle nude, stringerle, la bocca che cerca la mia nuca, costringendomi a voltarmi. E’ sveglio e mi sorride. Ah il suo sorriso magnetico! Mi stringe e mi accarezza. Mi vuole, non mi chiede, mi prende. Divine ore di una passione che sconvolge cuore e anima. Che sconvolge sensi e corpo. Poi s’acquieta e mi raccoglie nel cerchio magico delle sue braccia. Sento il suo profumo e il battito del suo cuore. Stiamo vicini, lontani dal mondo, dalla realtà. Stiamo ascoltando parole non dette, parole taciute. Ricomincia il gioco, sempre nuovo. Carezze lunghe, estenuanti e divoranti, colme di calore. I nostri sguardi si intrecciano, le bocche si uniscono.


Il bacio è infinito, tenero e violento. La marea di passione che sale in noi è inarrestabile, furiosa e incontrollabile. Trema fra le mie braccia e sul mio cuore. Lo sento aggrapparsi alla mia anima e chiedermi di essergli vicino. Dentro di me, dentro di lui. Trema di passione, sento i suoi piccoli morsi sulla pelle, i suoi mille e piccoli baci sfiorati, il suo respiro che si fa via via più affannoso.

Furioso mi stravolge, mi trattiene, le sue mani sono colombe impazzite e mi ritrovo ardente e sconvolta, ansante di piacere che raggiunge vette inimmaginabili. Lui ridente e spettinato, giovane e seducente ha sciolto i miei capelli e li arruffa giocando. Sensuale e innocente. Bambino e uomo. E ancora altre e altre divine ore.

Mi sciolgo dal suo abbraccio, mi strappo il cuore con i denti, mi alzo e mi vesto. Senza girarmi per guardarlo, Sento la sua voce che mi chiama amica, suadente, chiede di restare, chiede di non andare, chiede di fermare il tempo, di non guardare l’ora, di abbandonare tutto, di dimenticare tutto.
Chiede perché.


Mi guarda e io lo guardo. Lo sento intimo e profondo quello sguardo, indagatore e volitivo, imperante e implorante. Un vellutato abisso dove sarebbe così facile perdersi, dove sarebbe facile dimenticare e dimenticarsi.

Ma non posso. Fuori c’è la realtà quotidiana che mi aspetta. In questa stanza il sogno, la fantasia, la fiaba, l’amore, la passione. Fuori c’è un figlio, un marito che attendono il mio ritorno. In questa stanza i suoi vent’anni splendidi e irraggiungibili.

Fuori i miei quarant’anni vissuti.


L’addio è il nulla dei suoi occhi, delle sue mani inerti, del suo bacio leggero. L’addio è il doloroso silenzio del mio cuore, è il grido che risuona nelle mie vene, è la solitudine che mi porto addosso, è il lento scendere le scale che non finiscono mai, è il non voltarsi indietro nemmeno una volta, è il nascere di ricordi come fiori che non potranno mai appassire. L’addio è il mio nome che viene urlato nel silenzio di una stanza.

ARIELLA G.


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