Archeologia Isola di Pasqua mistero fuori dal mondo

Archeologia Isola di Pasqua mistero fuori dal mondo. A quasi trecento anni dal primo contatto con gli europei, Rapa Nui, nome dell’Isola di Pasqua nella lingua nativa, non ha ancora perso quell’aura di romantico mistero che aveva quando Jacob Roggeveen la visitò per la prima volta e la salvò, nel bene o nel male, dal suo estremo isolamento.

Considerando l’impressionante mole dei moai era difficile comprendere come la popolazione dell’isola, dotata di scarse risorse e tecnologicamente poco sviluppata, avesse potuto erigerli. Di questo si stupì il grande esploratore inglese James Cook quando giunse a Rapa Nui nel 1774, quattro anni dopo che il capitano iberico Felipe González de Haedo aveva rivendicato alla Spagna il possesso dell’isola, rinominandola San Carlos.

Cook, che conosceva bene gli abitanti delle Isole della Società, delle Tonga e della Nuova Zelanda, concluse che gli indigeni locali appartenessero allo stesso ceppo polinesiano; inoltre egli fu il primo a riferire che molti moai erano stati rovesciati e i loro ahu danneggiati.

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In ogni caso, l’enigma delle costruzioni megalitiche dell’Isola di Pasqua rimase a lungo irrisolto: le prime indagini archeologiche, infatti, avrebbero avuto luogo solo al principio del XX secolo. Un apporto decisivo giunse dall’inglese Katherine Routledge (1866-1935), una delle prime donne a laurearsi in archeologia a Oxford. La studiosa organizzò insieme al marito una missione scientifica sull’Isola di Pasqua, dove approdò il 29 marzo 1914, dopo un viaggio lungo un anno. La Routledge non si limitò a catalogare le colossali statue e i loro basamenti ma intervistò i nativi, raccogliendo molte informazioni su antichi miti e leggende locali.

Quando visitò il cratere di uno dei tre vulcani dell’isola, Rano Raraku, la cava da cui venivano estratti i blocchi di tufo utilizzati per scolpire i moai, la ricercatrice restò molto colpita dal gran numero di sculture che vi giacevano. Erano circa 394 e molte di esse apparivano incompiute o sepolte nel terreno fino alle spalle o al collo. Katherine Routledge si dedicò inoltre allo studio della misteriosa e tuttora indecifrata scrittura rongo-rongo, simile ai geroglifici e incisa su tavolette oltre che sul dorso dei moai. Fu così che poté constatare la continuità culturale tra gli autori delle gigantesche effigi e i moderni abitanti dell’isola, notando che i simboli scolpiti sul retro delle statue erano simili ai tatuaggi di alcuni nativi. I Routledge lasciarono l’isola nell’agosto del 1915 e Katherine divulgò i risultati delle sue indagini nel 1919, nell’opera The mystery of Easter Island, che ottenne presto un cospicuo successo.

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Due anni dopo, un ulteriore reportage ancora più esteso sul viaggio dell’archeologa fu pubblicato sul National Geographic Magazine. Secondo la Routledge a provocare il declino della società di Rapa Nui fu un vero e proprio disastro ecologico causato dalle stesse tribù indigene. Tale ipotesi sarebbe stata poi confermata dai ricercatori posteriori, che hanno ricostruito le diverse fasi della storia dell’isola. Tra questi si distinsero il biologo ed esploratore norvegese Thor Heyerdahl, che organizzò una spedizione sull’Isola di Pasqua nel 1956, e l’antropologo americano William Mulloy, che vi condusse alcuni interventi di scavo e restauro negli anni Sessanta. Attualmente, l’archeologa statunitense Jo Anne Van Tilburg, che lavora a Rapa Nui dal 1982, dirige l’Easter Island Statue Project, iniziativa volta a garantire lo studio e la salvaguardia del prezioso patrimonio culturale dell’isola.

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Oggi sappiamo che Rapa Nui fu colonizzata da navigatori polinesiani intorno al 500 d.C. Tra il 1000 e il 1500 la loro civiltà conobbe un periodo di grande prosperità durante il quale furono eretti i colossali monoliti. I moai rappresentavano forse lo spirito degli antenati e davanti a essi i nativi celebravano riti e cerimonie religiose. Tuttavia, a causa della sovrappopolazione cronica e del progressivo esaurimento delle risorse dell’isola, oltre a fattori climatici, tra il 1500 e il 1722 ci fu un’epoca di profonda decadenza. Lo smodato consumo di legna determinò un collasso ecologico e le guerre intestine per la supremazia segnarono probabilmente la fine del culto dei moai e il loro abbattimento. Quando gli europei giunsero sull’isola si trovarono di fronte una terra sterile e una società in rovina.

Come si trasportavano i moai? Uno degli enigmi più affascinanti della cultura rapa nui riguarda la tecnica impiegata dagli indigeni per trasportare i pesanti moai dalle cave alla loro posizione finale. Per Thor Heyerdahl servivano centinaia di persone per svolgere tale compito; secondo gli esperimenti di Jo Anne Van Tilburg invece ne bastavano quaranta.

Fonte: storicang.it

Foto di travelforbusiness.it

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