Indice dei libri proibiti viene soppresso dalla Congregazione della dottrina per la fede il 4 febbraio 1966

Indice dei libri proibiti viene soppresso dalla Congregazione della dottrina per la fede il 4 febbraio 1966. L’Indice dei libri proibiti (in latino Index librorum prohibitorum) fu un elenco di pubblicazioni proibite dalla Chiesa Ca<ttolica, creato nel 1559 da papa Paolo IV. L’elenco fu tenuto aggiornato fino alla metà del XX secolo e fu soppresso dalla Congregazione per la dottrina della fede  il 4 febbraio del 1966. Dal 1571 al 1571 al 1917 il compito della compilazione del catalogo dei libri proibiti fu di competenza della Congregazione dell’indice.

Il primo Indice

Tra i compiti della Santa Inquisizione vi era quello di ispezionare biblioteche pubbliche e private, botteghe di tipografi e librai, e anche chiese e monasteri per individuare e sequestrare le opere contenenti proposizioni eretiche. Nel 1554 l’Inquisizione veneziana pubblicò il Cathalogus librorum haereticorum contente l’elenco delle opere proibite nella Repubblica di Venezia. Nel 1555 Gian Piero Carafa, fondatore del Sant’Uffizio, neoeletto pontefice col nome di Paolo IV incaricò i cardinali inquisitori di redigere un Indice ufficiale dei libri proibiti.

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Il primo Indice, detto “Indice Paolino”, fu promulgato con un decreto affisso a Roma il 30 dicembre 1558 e diffuso all’inizio del 1559. Il decreto dell’Inquisizione romana prescriveva, pena la scomunica, «Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti ed elencati in questo Indice del Sant’Uffizio». L’elenco dei libri proibiti (Cathalogus librorum Haereticorum) era diviso in tre parti:

  1. autori non cattolici: di essi erano proibite tutte le opere (circa 600 nomi);
  2. libri (conteneva 126 titoli di 117 autori);
  3. opere anonime (l’elenco comprendeva 332 opere).

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Al termine di questo elenco furono aggiunte due liste. La prima elencava 45 edizioni proibite della Bibbia, oltre a tutte le Bibbie nelle lingue volgari, in particolare le traduzioni tedesche, francesi, spagnole, italiane, inglesi e fiamminghe. La seconda era formata dai nomi di 61 tipografi (prevalentemente svizzeri e tedeschi): di essi erano proibiti tutti i libri, anche quelli riguardanti argomenti non religiosi, in qualsiasi lingua e di qualsiasi autore; questa disposizione aveva l’obiettivo di scoraggiare gli editori a pubblicare autori protestanti di lingua tedesca. Infine si proibivano intere categorie di libri, come quelli di magia cerimoniale.

Tra i libri inizialmente proibiti vi erano: il Talmud, tutte le opere di Luciano di Samosata, di Agrippa di Nettesheim, di Ortensio Lando, di Guglielmo di Ockham, Il Principe di Niccolò Machiavelli, il Novellino di Masuccio Salernitano, il Decameron di Giovanni Boccaccio e il De Monarchia di Dante Alighieri.

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La vastità del provvedimento incontrò subito l’opposizione dei librai e dei tipografi, che lo giudicarono estremamente severo. Persino alcuni membri del Collegio cardinalizio espressero dei dubbi sulla sua efficacia. Lo testimonia la lettera del 27 gennaio 1559 diretta all’inquisitore di Genova, con la quale il commissario Michele Ghisleri (futuro papa Pio V) espresse le sue riserve su alcune specie di proibizioni:

«Di prohibire Orlando [Innamorato e Furioso], Orlandino [del Folengo], cento novelle [probabilmente Boccaccio] et simili altri libri più presto daressemo da ridere ch’altrimente, perché simili libri non si leggono come cose a qual si habbi da credere ma come fabule, et come si legono ancor molti libri de gentili [pagani] come Luciano Lucretio et altri simili»

Il papa recepì il decreto dell’Inquisizione romana con la bolla Cum ex apostolatus officio, pubblicata il 15 marzo 1559. Gian Pietro Carafa, che da cardinale era stato il primo presidente della Santa Inquisizione, attribuì a quest’ultima e alla sua rete locale l’applicazione delle proibizioni. Fino ad allora il ruolo di censori era stato svolto dai vescovi, ciascuno dotato di autonomia nella propria diocesi. Con questo provvedimento, il potere censorio fu centralizzato e affidato unicamente all’Inquisizione.

Nello stesso anno 1559 la Santa Sede ammorbidì le norme censorie (Instrucio circa Indicem) introducendo lo strumento detto expurgatio. I libri di autori cattolici tradotti o curati da eretici potevano essere ugualmente permessi purché emendati dai loro nomi e cancellando nel testo eventuali aggiunte o correzioni da loro apportate. La Congregazione dell’Indice invitava quindi l’autore a riprendere in mano il libro condannato donec corrigatur (letteralmente: «[proibito] finché non sia stato corretto») affinché emendasse l’opera di quei passi indicati come eretici.

Dimostrazione pratica che l’egemonia della Chiesa Cattolica con la Sacra Inquisizione, sua anima nera, voleva tenere nell’ignoranza il popolo per meglio governare a suo piacimento e secondo i suoi interessi.

Fonte: it.wikipedia.org

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