Solitudine dilagante e interazione sociale

Solitudine dilagante e interazione sociale. Nel nostro mondo iperconnesso, la solitudine sarebbe dovuta svanire, per il proliferare dei mezzi di comunicazione, ma purtroppo non è così. Negli ultimi anni, le nuove forme di comunicazione ci hanno dato una maggiore capacità di connetterci con gli altri istantaneamente, eppure, sembra chiaro che non ci sia modo di alleviare quella esigenza di contatto attraverso uno schermo. È il contatto fisico che prevale per stabilire una vera unione con l’altro.

 La nascita dei social si è avuta con lo sviluppo di internet, divenendo un mezzo di comunicazione di massa, fino a rappresentare una modalità di espressione della propria identità sociale. Attraverso i social, si ha la possibilità di connettersi a una rete infinita di utenti con i quali si condividono gli stessi interessi.

La loro presenza è diventata parte integrante della nostra realtà quotidiana. Tutto questo ha portato inevitabilmente anche a una rivoluzione delle modalità d’interazione sociale. Anche il concetto di amicizia si è alterato, diventando un indicatore di status sociale.

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 Si può organizzare la propria presentazione del profilo in modo da trasmettere l’immagine di sé che più ci piace, esaltando le parti che più ci convincono e offuscando le altre, così da rispondere alle difficoltà dell’accettazione fisica, tipica di quest’età, cercando così di ricevere quante più approvazioni sociali possibili che si esprimono nei like, ma dietro la condivisione c’è un gran bisogno di allontanare la sofferenza e il malessere. La condivisione dovrebbe essere un’intesa, ma la condivisione sui social è solo apparente, è un mettere in mostra che nasconde un vuoto, un’insicurezza personale, è un monologo collettivo, dove ciò che si mostra nella vetrina virtuale è quanto vorremmo che gli altri vedessero. La vita condivisa on line è una serie di momenti felici, queste versioni ritoccate e filtrate di noi stessi sono troppo spesso estremamente lontane dalla realtà, viene presentata un’immagine sempre meno autentica, meno aderente alla realtà.

 In questa solitudine di una generazione iperconnessa, il giudizio dei coetanei conta e ha un valore altissimo, capace di rassicurare, ma anche somministrare un dolore profondo, con un impatto devastante sulla costituzione dell’immagine di sé e dell’interpretazione della realtà circostante, influenzando anche l’identità sociale.

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I mezzi informatici incidono sui processi emotivi, in quanto sono dei condizionatori di pensiero, modificano il modo di pensare, non mettono in contatto con il mondo, ma con la sua rappresentazione. Nel proliferare delle connessioni informatiche si nascondono tante solitudini, si rifugge il legame, l’intimità, l’incontro emotivo autentico. Si dà valore all’approvazione esterna a scapito della propria individualità e delle proprie emozioni. La società iperconnessa non è stata creata dagli adolescenti, che cercano di adattarla alle loro esigenze, ma viene alimentata ogni giorno dagli adulti che l’hanno costituita, diventa quindi necessario avviare una riflessione sul senso della prevenzione. Per quanto possa sembrare paradossale, la nostra era della comunicazione è anche l’era della solitudine.

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La solitudine fa paura, è questo il male di vivere, il quotidiano malessere, il dolore intimo che si vive in silenzio, ma il dolore non è fine a sé stesso, è un mezzo per produrre certi effetti, accompagna verso dimensioni dell’esistenza di cui si era inconsapevoli, ci guida verso un senso ancora più profondo delle cose. Il dolore scuote le nostre coscienze, è la ricerca di uno scopo, di un perché. Il percorso che conduce alla scoperta del nostro personale scopo della vita non può che essere impegnativo e irto di ostacoli.

La ricerca di un fine che possa dirsi autentico, può solo nascere da una profonda inquietudine. Quando avvertiamo in noi stessi la presenza di qualcosa di più elevato che preme per manifestarsi, viene inevitabilmente a crearsi un conflitto. Il pieno successo in questa ricerca non è sempre garantito.

In una società in cui si rompe la solidarietà sociale, la solitudine dilaga. Si costituisce una società fragile con una popolazione amorfa, emotiva, in cui gli individui sono più esposti al rischio della manipolazione. Le relazioni interpersonali e affettive registrano difficoltà, diventano fatica di vivere, Solitudine, male di vivere non sono aspetti riconducibili solo a caratteristiche biologiche dell’individuo, anzi, probabilmente riflettono un malessere sociale dovuto alle trasformazioni strutturali del modo di vita. Si indeboliscono le reti relazionali sociali. L’accelerazione frenetica della vita, la velocità del consumo individuale di essa non aiuta l’intreccio relazionale né, soprattutto, la costruzione di legami di amicizia e solidarietà stabili e duraturi nel tempo.

Fonte: articolo estratto da filosofiaenuovisentieri.com/

Foto di  Mohamed_hassan da Pixabay