Spose schiave bambine crescita 20% ultimi quattro anni

Le spose schiave bambine non sono una novità, è una piaga inammissibile nel vivere civile moderno, anche se qualcosa si sta muovendo per salvaguardare l’infanzia, l’adolescenza di queste giovanissime costrette ad un matrimonio dalla stessa famiglia di origine, e l’aumento è causato dalle guerre in quelle terre martoriate ormai dalla povertà e dalla miseria sconfinata, dati che invitano a riflettere: tra le comunità dei rifugiati in Giordania, nel 2011, il 12% delle unioni riguardava una ragazza con meno di 18 anni.

La percentuale è arrivata al 18% nel 2012, al 25% nel 2013 fino a sfiorare il 32% nel primo quarto del 2014. Ma poiché tanti matrimoni non vengono registrati, il numero probabilmente è molto più alto; in Siria, stando ai dati Unicef sulle adolescenti già sposate, nel 16% dei casi la differenza d’età col marito è di 15 anni. Nel 32% oscilla tra i 14 e i 10 anni. Nel 37% si riduce, tra i cinque e i nove anni ma non è esente neppure lo Yemen da questa pratica.

BAMBINE VENDUTE PER ESSERE SPOSE SCHIAVE
‘LA SPOSA BAMBINA’

Un film che denuncia le angherie su di una fanciulla dello Yemen da vedere, per comprendere, in quale situazione inaccettabile vivono è ‘La sposa bambina’,  regia di Khadjia Al-Salamim interpretato magistralmente da una bimba di 10 anni costretta a sposare, venduta per povertà dal padre, un uomo adulto e da lui schiavizzata e maltrattata,  la trama del film è la seguente: nello Yemen, dove non vi è alcun requisito minimo di età per sposarsi, la decenne Nojoom è costretta a sposare un uomo di trent’anni, in cambio di una piccola ricompensa per la sua famiglia. Si tratta di un’usanza molto comune ma la piccola Nojoom vede la sua vita prendere in breve una svolta negativa fino a farle desiderare il divorzio, divorzio che riesce ad ottenere, nonostante le brutture a cui è sottoposta pur di farle recedere dal suo proposito.

In un altro cortometraggio  di denuncia, To our daughters di Terre des Hommes, 20 ragazze (10 giordane e 10 siriane) raccontano la loro esperienza di spose bambine.
Il film è stato proiettato in 13 città di sette differenti governatorati giordani, coinvolgendo sei Ong internazionali.
«L’idea è nata dalla sofferenza di tante adolescenti costrette a sposarsi prima dei 17 anni. Il loro numero è aumentato del 20% negli ultimi quattro anni», dice a Lettera43.it il regista, il giordano Ra’fat al Tbakhi.
Le riprese si sono svolte a Zarqa, città popolata sia da siriani sia da giordani, dove la piaga dei matrimoni forzati e precoci è particolarmente diffusa.

«La situazione con la guerra è nettamente peggiorata, specialmente nelle zone rurali di Siria e Giordania», spiega Jihan, ragazza siriana.
Sua sorella è stata costretta a sposarsi ad appena 13 anni. Dopo tre mesi ha divorziato. «I miei genitori l’hanno obbligata a risposarsi all’età di 15 anni, pensando che il matrimonio fosse l’unico modo per proteggerla dalla guerra», racconta. «Ma non hanno considerato i suoi desideri. Molte altre ragazze sono vittime del matrimonio precoce e forzato, private dei loro diritti fondamentali: gioco, educazione e possibilità di scelta del partner».
Anche Ruba ha vissuto un’esperienza simile nella sua famiglia: «Mia sorella è stata data in sposa a 15 anni, e già la prima notte di nozze ha subito terribili abusi fisici. Dopo neanche un mese dal matrimonio, è rimasta incinta e oggi ha sei figli. All’età di 35 anni soffre di ipertensione, diabete e dolori pelvici».

Ma anche in Italia si combinano questi drammatici matrimoni fra gli immigrati, siano essi rom o di altri paesi arabi, senza curarsi di quali pieghe psicologiche e fisiologiche possono danneggiare per sempre questi esseri umani all’alba della vita: le piccole spose subiscono danni di varia natura, sanitari ma non solo, talvolta permanenti. «Tra gli aspetti e le conseguenze più gravi c’è l’impatto psicologico sulla ragazza e la deprivazione dei suoi diritti», dice Ruba. «Le giovani spose, infatti, non possono disporre di loro stesse e dipendono dalla volontà dei mariti».
Inoltre, l’attività sessuale praticata mentre ancora il corpo si sta sviluppando può essere devastante: le ragazze sotto i 15 anni sono cinque volte più a rischio di morte durante il parto rispetto alle donne completamente mature.
«Il film sottolinea la gravità del fenomeno e il nostro desiderio di combatterlo», dice Ruba. La sua speranza è che possa raggiungere il maggior numero di spettatori, anche se ammette la difficoltà di far arrivare il messaggio all’altro sesso. «Sfortunatamente, alle proiezioni non c’erano molti uomini, erano organizzate durante orari lavorativi…», conclude.
Consapevole che il cambiamento passa necessariamente dalla sensibilizzazione.

In un articolo scritto da Carlo Stasolla su Il Fatto quotidiano delinea bene lo stato di queste spose schiave bambine in Italia:E’ possibile anche in Italia registrare casi di matrimonio precoce che personalmente ho constatato, per la verità molto sporadicamente, presso comunità rom originarie della Macedonia, del Kosovo e della Romania colpite da processi di emarginazione sociale e in difficili condizioni economiche; così come sono sempre rimasto colpito dalle profonde ripercussioni fisiche, intellettuali, psicologiche ed emozionali riscontrate tra le adolescenti coinvolte: i percorsi scolastici vengono interrotti e la sana crescita personale, in una fase così delicata, viene compromessa. Il tutto tra l’indifferenza generale di operatori sociali e mediatori che davanti ad un atto proibito dall’ordinamento giuridico, lo condonano in nome di una presunta “tradizione culturale rom”. Ancora una volta, come accade anche in altri contesti, rivestire dell’abito culturale una strategia adottata in un condizione di povertà diventa la risposta più semplice che aiuta a restare in superficie e a deresponsabilizzare’ 

Anni fa la ricercatrice rom Sorina Sein, curò uno studio sul matrimonio precoce attraverso un’analisi comparativa tra una comunità rom residente in Romania ed una migrata nel Centro Italia. Le conclusioni a cui giunse la ricerca è che la soluzione al problema la si trova percorrendo due strade: il potenziamento dei processi educativi e formativi e l’uscita dalla spirale della povertà. «Nella mia esperienza – scrive l’autrice – l’educazione ha cambiato la mia vita, la mia percezione e la mia visione». La lotta alla povertà, l’accesso al mercato del lavoro e alla scuola, la desegragazione abitativa sono le armi più efficaci di cui le comunità possono disporre per superare la pratica del matrimonio precoce ma per questo c’è la necessità del supporto collettivo che, a fianco delle famiglie rom, veda in prima fila amministratori locali, insegnanti, educatori. Senza giudizi ma anche senza nascondere una realtà non totalmente estinta.’

Fonte: Lettera43 – IlFattoQuotidiano