La favola delle tre sorelle delle Mille e una notte

La favola delle tre sorelle delle Mille e una notte. Continua la serie delle favole chela bellissima Sherazade racconta al suo Califfo per farlo addormentare per impedirgli di commettere altri delitti, questa parla di tre sorelle e delle loro avventure.

La favola delle tre sorelle

Nell’impero della Persia viveva e regnava il sultano Khoshr-Shah, il quale decise di prendere moglie poco dopo l’ascesa al trono. Camminando per la sua città di notte, vide tre sorelle in una povera casa che chiacchieravano dei loro desideri per il futuro: la più piccola espresse la voglia di sposarsi il sultano. Stupito, il giorno seguente il sovrano fece convocare tutte le sorelle, prendendo in moglie la minore e facendo maritare le altre con due suoi ufficiali. Le due sorelle si ingelosirono della più fortunata e vollero vendicarsi: ogni volta che la favorita del sultano partoriva un bambino, lo sostituivano con un essere morto, nascondevano il pargolo in una cesta e lo gettavano nel fiume. La sultana partorì in tutto due maschi e una femmina, sottrattigli dalle sorelle, e il sultano, adiratosi molto con la moglie che non gli generava un erede, la fece rinchiudere in una moschea a ricevere gli insulti e gli sputi dei passanti, sotto stretto ordine del re.

A insaputa di tutti, però, i tre principini furono intanto raccolti l’uno dopo l’altro dal giardiniere del sultano, il quale li allevò come suoi figli col massimo amore e con le migliori istruzioni, chiamando il più grande Bhambam, il secondo Perviz e la minore e più saggia Parizade. Tempo dopo il giardiniere morì ed un giorno una vecchia musulmana giunse a casa dei tre fratelli e raccontò a Parizade di tre oggetti fantastici e meravigliosi molto difficili da trovare: un uccello variopinto capace di parlare come un uomo, un albero che al posto delle foglie aveva delle bocche che cantavano melodie armoniose e dell’acqua con il colore simile all’oro. La principessa ne parlò coi fratelli, e il maggiore decise di andare alla ricerca di tali oggetti verso Oriente, non prima di aver donato alla sorella un pugnale magico che si sarebbe macchiato di sangue se il ragazzo fosse morto.

Il lungo viaggio portò Bhambam a un vecchio monaco, seduto sotto un albero, che il giovane ripulì dalla lordura e a cui curò la barba lunghissima. Riconoscente, il derviscio gli comunicò la strada da prendere per raggiungere le tre cose desiderate, nonché gli ostacoli là presenti. Dapprima il viaggiatore si sarebbe trovato a cavallo davanti ad una grande altura di rocce, che avrebbe dovuto scalare per arrivare all’uccello parlante ingabbiato. Tuttavia un coro di voci avrebbe cercato con insulti e minacce di impedire la sua scalata, e se il principe si fosse voltato indietro sarebbe stato tramutato in pietra assieme al cavallo, come era successo anche ad altri avventurieri, motivo per cui, inizialmente, il monaco tentò invano di convincere il giovane a non tentare l’impresa. Bhambam, come gli fu insegnato dal vecchio, si fece dare da lui una palla magica che gettò a terra e che inseguì fino al luogo desiderato, si recò sull’altura e appena iniziò la scalata le voci minacciose furono così forti che egli si spaventò e cadde, e nella caduta si voltò indietro e si tramutò in sasso.

Parizade si accorse della morte del fratello vedendo il pugnale lordo di sangue, e così mandò anche il fratello Perviz alla ricerca dell’uccello parlante e degli altri due oggetti, e questa volta Parizade si sarebbe accorta dell’esito del viaggio del secondo fratello usando delle perle incantate. Purtroppo, però, anche Perviz fallì nell’impresa, voltandosi indietro quando sentì il primo insulto, e morì trasformato in roccia. Perizade decise di andare personalmente alla ricerca degli oggetti da lei desiderati, e, compiendo tutto ciò che le ordinò di fare il vecchio monaco, come con gli altri fratelli, giunse all’altura. Stavolta, però, rise degli insulti, arrivò fino in cima e liberò l’uccello parlante, il quale si dichiarò suo servo; la principessa gli ordinò di farsi indicare dove fossero gli alti oggetti magici, ossia l’albero parlante e l’acqua giallo oro, oltre che a far ridiventare umani tutte le pietre sotto l’altura. L’uccello magico fece tutto ciò che le aveva chiesto la buona Parizade e se ne tornò a casa con i doni.

Giorni dopo, Bahmbam e Perviz e si recarono a caccia e si imbatterono nel vecchio sultano Khoshr-Shah, il quale, pur non riconoscendo i suoi figli, fu incuriosito dalla virtù, dalla bontà e dall’audacia dei due giovani, e decise di invitarli a palazzo. I due principi trascorsero le più belle giornate della loro vita nella reggia del sultano, che udendo la storia della loro tramutazione in pietra, volle conoscere anche la loro saggia sorella. Intanto Parizade, sotto consiglio dell’astuto uccello parlante, infilò delle perle in un cocomero; Bahmbam e Perviz, dopo essersi scordati due volte di invitare a palazzo con loro la sorella, lo fecero la terza volta e questa conobbe per la prima volta il benevolo sultano.

L’uomo, riconoscendo nella fanciulla una sgargiante bellezza e onestà, volle andare a visitare la sua casa, e il giorno seguente Khoshr-Shah giunse con il suo corteo nella modesta abitazione dei tre fratelli, dove egli si stupì molto alla vista del bellissimo orto, della melodiosa armonia dell’albero cantante, dell’acqua color oro nello stagno e specialmente dell’uccello parlante che accolse benevolmente il sovrano. Sedutisi i presenti a mangiare, Parizade, come da programma, servì al padre il cocomero con le perle: il sultano chiese che mai fosse quella stranezza, e l’uccello gli disse che ciò era lo stesso esempio degli altri sotterfugi che gli commissionarono le due sorelle cattive della sua precedente sposa. Il sultano comprese tutto, abbracciò i suoi tre figli commosso, liberò dalla sua sventura la povera sultana e mandò a morte le cognate impostore.

Le Mille e una notte

Fonte: it.wikipedia.org

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