Doloroso silenzio del cuore racconto di Ariella Gibellato

Doloroso silenzio del cuore racconto di Ariella Gibellato. AriellA Gibellato una scrittrice in erba, di una certa età con una fantasia leggiadra e sconfinata, un romanticismo che non crolla con l’andar degli anni, con l’innocenza non perduta ma trattenuta per fronteggiare la realtà di un mondo nel quale non si riconosce più, ha scritto questo racconto, il suo primo racconto tantissimi anni fa, una vita fa.

Doloroso silenzio del cuore

Guardo attraverso i vetri la neve che scende. Rapida. Danzante. Mi muovo lentamente. Scivolo dal letto e mi affaccio. La notte è quasi chiara, lucente. Un gatto miagola disperato, lontano. Nel silenzio ovattato l’urlo azzurro di un’ambulanza. Luci abbaglianti si infrangono sulla strada bianca, silente, addormentata. Un movimento mi fa voltare. Il suo corpo nudo, bronzeo, divinamente giovane, Dorme, abbandonato e tenero.

Mi avvicino lentamente e lo guardo. Lo voglio vedere interamente e tolgo il lenzuolo spiegazzato, è perfetto e irresistibile. I capelli scomposti e ribelli. La bocca socchiusa sul balenio dei denti bianchi. Sento urti nel petto, dolorosi e soffocanti. Il desiderio mi assale con tutta la sua ferocia violenza. Mi costringo a voltarmi, a guardarmi allo specchio. E vedo i miei quarant’anni. Pieni e voluttuosi, come frutti maturi, impossibili alla mia mente ma reali, veri! Accarezzo il seno colmo, la mia pelle e ne sento la sericità della sua compattezza. Spio il mio viso, cerco i segni del tempo, pieghe d’esperienza inflitte dalla realtà e trovo l’autunno dorato, con le sue calme malinconie e i suoi tiepidi sorrisi.Cerco di padroneggiare la disperazione che sento salire alla gola.

Guardo ancora quei vent’anni nudi, terribilmente splendidi, distesi nel sonno. E mi chiedo cosa faccio in questa stanza, ripenso a nostro incontro; uno sguardo, mille no, la sua dolce, continua insistenza, la sua accorata insistenza alla mia lucida follia che nel cuore mi diceva si, si, si. Accendo una sigaretta, vedo il fumo salire lento e ancora osservo il suo dormire; le lunghe ciglia curve formano una mezza luna, l’incanto del suo sguardo è celato, chiuso. Penso ai suoi sguardi così arditi, così neri, così tempestosi e così teneri, alla loro luce scura e ai suoi bagliori lucenti, sguardi tempestosi e così adoranti, gelosi e appassionati, delicati e ardenti, riflessi e curvi su di me in una muta preghiera.

Potrò dimenticare di essere stata qui, di averlo amato e tutto di lui, ma non il suo sguardo e le sue mani. Le sue mani forti e delicate, smaniose e violente, incapaci di durezze, facili da adorare, che prendevano le mie e risalivano ai polsi stringendoli, incatenandomi alla sua passione, che offrivano e chiedevano, laceravano e lenivano.

Le sento ora le sue mani, serrare le mie spalle nude, stringerle, la bocca che cerca la mia nuca e mi costringono a voltarmi. È sveglio e mi sorride, mi stringe e mi accarezza, mi vuole, non mi chiede, mi prende. Divine ore per poi acquietarsi per raccogliermi fra le sue braccia sento il profumo il suo profumo e il mio cuore, stiamo abbracciati in silenzio, ascoltando parole non dette, taciute e ricomincia il gioco sempre nuovo. Carezze lunghe, estenuanti, divoranti. Colme di calore, i nostri sguardi s’intrecciano, le bocche si uniscono, il bacio è infinito, tenero e violento; la marea che sale in noi è incontrollabile, furiosa e inarrestabile.

Lo sento aggrapparsi alla mia anima straziandola e chiedermi di stargli vicina, trema fra le mie braccia e sul mio cuore, trema di incontenuta passione, sento i piccoli morsi sulla pelle, i suoi mille, piccoli, baci, il suo respiro. Furioso mi stravolge, mi trattiene, le sue mani sono colombe impazzite e mi ritrovo ardente e sconvolta, ridente e spettinata, giovane e seducente, ha sciolto i miei capelli e li arruffa giocando con le ciocche, sensuale e innocente, bambino e uomo e poi…. altre e altre divine ore.

Mi sciolgo dal suo abbraccio, mi strappo il cuore con i denti, mi alzo e mi vesto. Non mi giro a guardarlo. Sento la sua voce che mi chiama, amica, suadente, chiede di restare, di non andare, di fermare l tempo, di non guardare l’ora, di abbandonare tutto, di non lasciare quell’isola felice e infine chiede perchè. Lo guardo e lui risponde al mio sguardo, lo sento intimo e profondo quello sguardo, indagatore e volitivo, imperante e implorante, è un vellutato abisso dove sarebbe così facile naufragare, dove sarebbe facile dimenticare e dimenticarsi.

Non posso, fuori mi aspetta la realtà, in questa stanza il sogno, la fantasia, la fiaba, l’amore; fuori un figlio, un marito che attendono, in questa stanza i suoi vent’anni, fuori da quella porta mi aspettano i miei quarant’anni che non ammettono sogni, passioni infuocate, baci ardenti dati e ricevuti.

L’addio è il nulla dentro ai suoi occhi, nelle sue mani inerti, nel suo bacio leggero. L’addio è il doloroso silenzio del mio cuore, è il grido che risuona nelle mie vene, è la solitudine che mi porto addosso, è il lento scendere di scale che non finiscono mai, è il non voltarsi indietro nemmeno una volta, è il nascere dei ricordi come fiori che non potranno mai appassire. L’addio è il mio nome che viene urlato nel silenzio di una stanza.

ARIELLA GIBELLATO

Foto di KELLEPICS da Pixabay

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